Giunto alla soglia dei quarant’anni, in salute malferma, nel 1815 Porta si decise a raccogliere il meglio dei suoi versi, che da tempo furoreggiavano a Milano in copie manoscritte. Agli stampatori aveva concesso ben poco, e anche stavolta non a un libro pensò, ma a un quaderno, compilato a beneficio del figlio Peppino, perché una volta adulto conservasse memoria della sua arte, con la dovuta prudenza, dal momento che gli porgeva un «appuntato coltello, che sarebbe mal affidato nelle mani dell’inesperto fanciullo».
Porta era ben consapevole che la prepotenza del suo genio gli aveva dettato rime in grado di turbare ingenui e benpensanti. Tuttavia l’anno successivo decise di accettare l’invito di Francesco Cherubini, che gli riservava l’ultimo volume della sua Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese. Quali componimenti trascegliere, dalle proprie carte? Il problema divenne per Porta spinoso nel momento in cui fu sospettato d’aver composto la Prineide, un poemetto sovversivo che scatenò le ire delle autorità austriache. Coinvolto al principio del 1817 nelle indagini della polizia, il poeta rischiò di perdere il posto di pubblico impiegato. Avvilito, scrisse un’amara Memoria a mio figlio e diede a Cherubini facoltà di edulcorare i versi scelti per la Collezione. Ottennero così il visto del censore, che prescrisse comunque correzioni e rinunce a componimenti «non ammissibili». Un altro divieto si abbatté l’anno successivo sulla rappresentazione della comi-tragedia Giovanni Maria Visconti, composta a quattro mani con Tommaso Grossi. Era inevitabile: a un anno dall’incidente della Prineide, della quale si era infine confessato responsabile Grossi, i due amici avevano proposto un copione che inneggiava alla rivolta contro i tiranni.
Il tempo per Porta era ormai agli sgoccioli. Il 5 gennaio del 1821 moriva, lasciando inediti abrasivi poemetti contro la Restaurazione, come La nomina del cappellan, Offerta a Dio e il Meneghin biroeu di ex monegh, in cui un servo leva con orgoglio la voce contro le ingiustizie sociali. Che farne? La famiglia decise di rimettersi al giudizio del canonico Luigi Tosi, il quale si industriò a tagliare, raschiare, cancellare i quaderni del poeta, compreso quello destinato a Peppino. Inutili premure. La Ninetta del Verzee, Ona vision, On miracol, La messa noeuva, il Biroeu copiati in precedenza da mani amiche, ricomparvero nel 1826 a Lugano, in un’edizione di Poesie inedite, con la falsa indicazione «Italia». Nel giro di un anno una dozzina di ristampe clandestine dilagò in territorio asburgico. Il 17 dicembre 1827 Giuseppe Gioachino Belli a Milano poteva così comprarne una copia al mercato nero, per 96 baiocchi, restandone impressionato. Le proteste delle autorità austriache avevano intanto indotto il Canton Ticino a sequestrare la tiratura e vietarne la vendita: un incidente diplomatico che prova come Porta sia stato uno dei più temuti poeti civili del nostro Ottocento. Lo riconobbe, più tardi, Carlo Cattaneo:
spero che un giorno saremo capaci di accorgerci dell’immenso beneficio che quell’acerba flagellazione ci recava. Per ora confesso che la lividura e il bruciore ci stanno troppo recenti sulla pelle. E, ciò che peggio si è, molti da quelle staffilate hanno imparato poco più che l’odio al flagellatore. Il più bel sogno delle loro notti sarebbe che le opere di Porta venissero sepolte con lui. Tanto è il bisogno che ne hanno ancora.
«Io» aveva scritto Porta a un amico nel 1819, «non sarò mai altro che un buon moralista a dispetto della corteccia, che mi inviluppa». Ferocemente anticlericale, estraneo al populismo, incline all’osceno, e per di più indifferente al fascino della guerra. Il clima risorgimentale non poteva che nuocere alla fortuna di un poeta di questo stampo. Scambiato per un allegro e innocuo “bosino”, Porta venne ridotto a piccola gloria municipale. Per la prima traduzione integrale in italiano si dovette aspettare il 1907. Ma è soltanto nel secondo Novecento che la critica ha riconosciuto appieno il valore della sua opera. Allora Ninetta finalmente è scesa dagli scaffali più alti delle librerie, dov’era stata confinata in edizioni osé o fascicoli stampati a parte, per essere restituita alla nostra ammirazione, in tutta la sua fiera e dolente umanità.
Pagine dei quaderni portiani sconciate dal canonico Luigi Tosi
(Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana,
Raccolta Portiana IX, 1; IX, 2)
La digitalizzazione integrale di questi
e di altri documenti della Raccolta Portiana
è disponibile sulla piattaforma GraficheInComune®
all’indirizzo www.graficheincomune.it