Applaudito attore in gioventù, abilissimo nel restituire sul palcoscenico le minime sfumature di un carattere, Carlo Porta mise questo talento anche al servizio dei propri versi, dei quali fu efficace interprete. Naturalmente non li recitava sulla pubblica via, al modo dei “bosini”, ma neppure nel contesto di un’accademia, come quella dei Trasformati, dove si erano distinti i suoi più illustri predecessori, Carl’Antonio Tanzi e Domenico Balestrieri. Sfruttava invece gli incontri con amici, che dal 1816 accolse regolarmente nell’abitazione di contrada del Monte. È la Cameretta portiana, frequentata da personalità del calibro di Tommaso Grossi, Gaetano Cattaneo, Ermes Visconti. Ma la fama di Porta non si arrestava certo a queste pareti, nonostante la sua parsimonia nel pubblicare: lo stesso Stendhal restò incantato dell’«aimable Carline», che gli recitò personalmente le Desgrazzi del Bongee, «charmant petit poème».

L’usanza sopravvisse a lungo: Carlo Emilio Gadda per una vita conservò il ricordo del padre che nelle sere dell’infanzia era solito leggergli, «non male, le sestine di Carlo Porta». Al di fuori dei contesti familiari, presero piede nel secondo Ottocento amene letture in brigate maschili, che privilegiavano i testi più arditi e divertenti, per trovarvi secondo Giuseppe Rovani un «sicuro antidoto» alla malinconia e al mal di nervi. Punto d’arrivo di questa tradizione è il processo per pornografia a Mafarka il futurista, nel quale l’avvocato di Filippo Tommaso Marinetti si divertì a recitare in aula passi osceni di Porta, per provare come nel 1910 circolasse letteratura ben più scandalosa.

In seguito fu il suo miglior erede, Delio Tessa, a incaricarsi di tener viva la voce di Porta, fra amici, presso circoli culturali, o ai microfoni della Radio Svizzera Italiana. Purtroppo non è sopravvissuta alcuna registrazione delle formidabili dizioni tessiane: ma ci resta il poemetto in omaggio A Carlo Porta, nel quale esorta a riprendere in mano le sue rime, dopo il pranzo natalizio: «Contra i melanconij, contra i magon / rezipe, el me zion, / rezipe i rimm del Porta». In breve però l’evocazione rasserenante degli eroi portiani cede il passo a una sgomenta apostrofe al loro creatore, invitato a riaprire gli occhi per rendersi conto che il mondo non è cambiato. La prepotenza, ieri asburgica oggi fascista, continua a trionfare.

Tessa morì nel settembre del 1939, giusto alla vigilia della tempesta che infine spazzò via questi incubi. Nel dopoguerra la riscoperta della profonda umanità dell’universo poetico di Porta spinse diversi mattatori a interpretare le sue pagine più notevoli. Prima fra loro Franca Valeri, che a metà degli anni Cinquanta offrì una splendida versione della Nomina del cappellan. La seguirono Tino Scotti, Dario Fo, Tino Carraro, che rilanciò le disgrazie del Bongee nello spettacolo Milanin Milanon. Negli anni Settanta il testimone passò a Franco Parenti, inimitabile nel rendere l’ansia di giustizia che pervade il mondo popolare dell’autore, tornato intanto sulle scene grazie alle trasposizioni teatrali di Ciro Fontana, e musicato in un intenso album di Elide Suligoj, Il mio Porta.